lunedì 31 dicembre 2012

Per il 2013... #tengounplan anche io!


Ogni ultimo dell'anno faccio una lista di buoni propositi per l'anno nuovo... propositi che, per la verità, di solito rimangono su un pezzo di carta accartocciato in fondo al comodino.
Forse è per questo che il nuovo spot di Desigual mi ha catturata all'istante.

La vida es chula è il motto di tre ragazze che davanti allo specchio, fra un vestito e l'altro, condividono con noi i loro progetti per il 2013. C'è chi vuole mollare tutto, alla faccia della crisi, e andarsene in Thailandia, chi vuole sedurre il capo e chi, invece, spera di far conoscere ai genitori la sua ragazza, Claudia, che è brasiliana e gioca a pallone. Sono storie divertenti, vive, capaci di far presa sul reale e di rappresentare i valori di un brand che ama stare sopra le righe. Brio,colore,  entusiasmo, voglia di vivere, ottimismo e un pizzico di capacità di stupire... è quello che raccontano queste ragazze, è il carattere audace e autentico degli abiti, è la filosofia di Desigual.

Da un punto di vista semiotico, potremmo parlare di una coerenza che oltrepassa i segni e si attesta in simboli e valori della marca. Da un punto di vista sociale, invece, gli spot hanno incontrato pareri diversi in Spagna e nel nostro Paese, in cui tra l'altro, non è stato mandato in onda il terzo spot che parla della relazione fra la ragazza protagonista e Claudia, la sua compagna. Se YouTube, Twitter e Facebook formicolano di commenti  negativi, a volte anche molto volgari sull'immagine delle tre ragazze degli spot Desigual, ho trovato un articolo piuttosto illuminante su Linkiesta, firmato da Silvia Ragusa: "E se gli spot Desigual finissero in Rai?"
Ne riporto un piccolo stralcio, ma vi consiglio una breve lettura, non ve ne pentirete:
"Gli spot a Madrid hanno suscitato le più vive polemiche tra gli internauti: alcuni hanno amato l'idea, altri l'hanno tacciata come maschilista, eccessiva, sessista, perfino di irrisoria verso la situazione economica del Paese. A mia nonna però, che vive con una pensione da fame e ricorda bene il ruolo della donna durante il franchismo, è piaciuta assai. E in fondo anche a me. 
(...) Per il 2013 vorrei portare tutti, ma proprio tutti, nel bagno delle ragazze. Basterebbe ascoltare una sola conversazione per capire che anche la pubblicità di Desigual è tremendamente out". 


Se lo spot della ragazza che vuole partire per andare in Thailandia è quello che mi ha davvero strappato un sorriso, quello  che non ha avuto la fortuna di arrivare nel nostro Paese (e che vi riporto qui sopra nella versione inglese), resta il mio preferito della serie. Il motivo? E' semplice: anche se considerate banali, troppo commerciali, inutili, alcune pubblicità sono capaci di raccontare storie dei nostri giorni e portare nella società il diritto all'uguaglianza. Insomma è una storia che mi piace e condivido, come donna e cittadino di questo Paese.

Ah, sì, dimenticavo. Visto che quest'anno vorrei evitare il foglietto accartocciato, ho deciso di scrivere qui i miei propositi 2013:
1. Continuare a fare con passione tutto quello che faccio, cercando ogni giorno con coraggio la mia strada, malgrado gli ostacoli e i problemi 
2. Continuare a portare avanti il lavoro di questo blog, con idee nuove, contributi originali e perchè no, anche qualche sorpresa
3. Ehm... beh, i restanti sono top secret, ma prometto che quest'anno mi impegno, metto tutto in agenda e rispetto i miei buoni propositi dall'inizio alla fine! Quest'anno anche io #tengounplan!
Buon 2013!!!

domenica 30 dicembre 2012

Storia di un pupazzo di neve e altre storie


Ogni Natale è scandito dalle micro storie di brand più o meno famosi e potrebbe essere tranquillamente raccontato attraverso la cronologia degli spot che da sempre ci accompagnano durante le feste. Per quanto sembri incredibile, 15 o 30 secondi sono sufficienti per rendere delle semplici immagini in sequenza, un augurio indimenticabile.
Fra tutti ne ho voluti scegliere alcuni: il pupazzo di neve di John Lewis, il simpatico human robot di Sky e una chicca del 1987.


Le pubblicità di Natale di Lewis sono un evento atteso da molti. Quest'anno protagonista della storia è un pupazzo di neve e il suo viaggio per comprare un regalo alla sua compagna di ghiaccio e neve. Un racconto che ha scatenato il web con milioni di visualizzazioni su YouTube, l'impazzare di parodie e articoli irriverenti. Ce n'è proprio per tutti.


Protagonista d'eccezione, invece, per il Natale Sky è Robin Williams: chi non lo vorrebbe un regalo così? Magico! Per chi, invece, è un inguaribile amante degli spot del passato... ecco gli auguri più dolci che si possano desiderare: chi non se lo ricorda?


Tanti tanti auguri a tutti coloro che passano da questo blog: che il nuovo anno vi permetta di realizzare tutti i vostri sogni, piccoli o grandi che siano.

venerdì 21 dicembre 2012

Once upon a time: storie che raccontano il reale



Storie di marca: perché ci piacciono così tanto? E' il nuovo articolo scritto per Brandforum che parla di 50 anni di un'azienda e della capacità di emozionare con storie che parlano di noi, della società e della nostra Italia. Quanti attimi ci sono in 50 anni? Milioni.
Auguri e Enel e buona lettura:
Once upon a time: storie che storie racconto il reale. 



mercoledì 19 dicembre 2012

Storie di cronaca: il giornalismo è bellezza



Johannes Frisk esitò. Fu una reazione automatica. Proprio come ogni altro giornalista al mondo, era recalcitrante a fare nomi di fonti. D'altro lato Erika Berger era il caporedattore e quindi una delle poche persone che poteva pretendere da lui quell'informazione.
"Un poliziotto della sezione reati contro la persona. Si chiama Hans Faste".
"E' stato lui a chiamare te o lo hai chiamato tu?"  
"Mi ha chiamato lui".
Erika annuì.
"Perchè credi che ti abbia telefonato?"
"L'ho intervistato un paio di volte durante la caccia a Lisbeth Salander. Mi conosce".
"E sa che hai ventisette anni, sei sostituto e sei utilizzabile quando ci sono da piazzare informazioni che il procuratore ha piacere vengano divulgate".
"Sì, tutto questo lo capisco. Ma ricevo una segnalazione da Faste che si occupa delle indagini e vado a bere una caffé con lui e lui mi racconta questa cosa. Io lo cito correttamente. Cosa dovrei fare di diverso?"
"Sono convinta che tu citi correttamente. Quello che sarebbe dovuto succedere però è che tu avresti dovuto portare l'informazione ad Anders Holm che avrebbe dovuto bussare alla mia porta per spiegarmi la situazione, e insieme avremmo deciso il da farsi". 
"Capisco. Ma io..."
"Tu hai consegnato il materiale a Holm, il caposervizio dell'informazione. Hai agito correttamente. E' stato Holm a sbagliare. Ma passiamo ad analizzare il tuo articolo. Anzitutto, perché Faste vuole che questa informazione trapeli?"
Johannes Frisk alzò le spalle.
"Significa che non lo sai o che non te ne importa?"
"Che non lo so".
"Okay. Se io affermo che questa storia è falsa e che Lisbeth Salander non ha minimamente a che fare con gli steroidi anabolizzanti, tu cosa dici?"
"Che non posso dimostrare il contrario".
"Esatto. Questo comporta che tu ritieni che noi dobbiamo pubblicare un articolo che forse è menzognero solo perché non abbiamo notizia del contrario".
"No, noi abbiamo una responsabilità giornalistica. E' un esercizio di equilibrio. Non possiamo astenerci dal pubblicare quando abbiamo una fonte che afferma espressamente qualcosa."
"Filosofia. Possiamo chiederci perché la fonte voglia diffondere quella certa informazione.  (...)Allora riassumerò tutto quello che ho da dire in un'unica frase. Il tuo compito come giornalista è di mettere in discussione ed esaminare criticamente, non di ripetere acriticamente affermazioni provenienti da fonti anche ben posizionate all'interno delle istituzioni. Non dimenticartelo mai. Tu sei un ottimo scrittore, ma quel talento è del tutto privo di valore se ti dimentichi il tuo compito."    


("La regina dei castelli di carta" di Stieg Larsson)

In questo blog si parla spesso di storytelling e dell'arte della narrazione. Il giornalismo, da questo punto di vista, è una forma d'espressione che indaga il reale e racconta l'attualità attraverso storie di cronaca, inchieste o editoriali. E' una forma di racconto alta, perché legata alla libertà di espressione e di pensiero e perché ha un potere forte, quello di interpretare la realtà. Il "quarto potere" è uno strumento che mi affascina da sempre, proprio per questo motivo.
Alla luce di quanto detto, il frammento di Larsson risulta essere illuminante: una definizione del concetto di giornalismo, della sua responsabilità e dell'importanza delle fonti. L'interpretazione, l'analisi critica, la capacità di vedere i fatti da diversi punti di vista: questo è ciò che ci si aspetta da un giornalista. Pensando a questo è naturale interrogarsi sul futuro del giornalismo e il ruolo ricoperto dal citizen journalism e dai social. Giornalista è colui che dà un ordine alle informazioni... senza di lui chi darà una scaletta alla storia del mondo? anarchia, democrazia delle idee, o repubblica?
Riflettere su questi temi è un dovere per chi si occupa di comunicazione, ma anche un obbligo nei confronti di sé stessi e della società per qualsiasi cittadino del mondo.  


domenica 9 dicembre 2012

#ilpensierocheconta: una storia sociale

3.500 manifesti e una campagna pubblicitaria che fa discutere: antipolitica o specchio dei tempi?
"Il pensiero che conta" è il titolo della campagna natalizia di una nota azienda di abbigliamento, Piazza Italia, punto di riferimento del fashion retail. L'obiettivo? "...Raccogliere la protesta, affidandola ad un drappello di volti comuni che esprimo il pensiero di un esercito, sempre più ingente, di cittadini insoddisfatti, offesi, vessati e frustrati nelle più semplici aspettative, come quella di trovare un lavoro retribuito o di vedersi riconosciuto il diritto di andare in pensione nei tempi sperati e, a suo tempo pattuiti". Volti di ragazzi, uomini e donne che vestono, con autoironia, i panni degli italiani di oggi e una campagna che attinge dalla cronaca per presentare la nuova collezione con immagini e colori che parlano un po' di noi: chi siamo, cosa pensiamo, qual'è la nostra storia.


"Il pensiero che conta" è questo e anche molto altro: è un invito a scendere in "Piazza", è una comunicazione forte ma ironica e mai tagliente, è un pezzo di storia italiana e un frammento della contemporaneità. In un'intervista a Lettera43, Stefano De Silvo, responsabile marketing di Piazza Italia commenta: "Con questa campagna, che fa parte di un percorso promozionale che procede con coerenza da due anni, abbiamo voluto farci portavoce dei disagi degli italiani e della loro sacrosanta insoddisfazione. Mi creda: ci avrebbe fatto ancor più piacere se a lanciare i nostri slogan etici fosse stato il governo e non un'azienda di abbigliamento". La campagna infatti è in linea con quella lanciata lo scorso anno proprio agli inizi del governo Monti,  con uno slogan che ammoniva il governo di professori: "I veri miracoli li facciamo noi"! Nasce da qui la nuova campagna che reinterpreta il sistema sociale e politico italiano seguendo le fila della nostra storia. Uno storytelling sociale che parla attraverso le immagini e prende forma attraverso un dialogo aperto che coinvolge non solo i consumatori ma tutti i cittadini. Interessante infatti il commento di Stefano Ginestroni, il pubblicitario creativo che ha diretto la campagna: "In Italia esiste un mosaico di voci-contro che va componendosi sui social network: costituisce una piazza di importanza nevralgica in cui a far da collante è la voglia di condividere ansia, paure, rabbia, disagi".

Il motore della campagna, infatti, è l'hashtag (#), ovvero la possibilità di condividere il proprio pensiero su Twitter, confrontarsi con gli altri e far sentire la propria voce. I migliori tweet vengono poi ripresi dal canale aziendale di Facebook e trasformati in curiosi post-it da commentare o condividere. Un dialogo aperto e una storia che si riscrive di minuto in minuto in quella piazza sociale costituita dai nuovi media. Un esperimento interessante che ha ricevuto molte critiche, molti applausi e soprattutto molti tweet su cui forse ci sarebbe da riflettere. Un esempio? @gianniroberto1 twitta: "La verità è che non abbiamo abbastanza fame per fare la rivoluzione... #ilpensierocheconta". @Iddio: "Tu la chiami crisi dell'eurozona. I poveri del resto del mondo la chiamano era ora che pagavate qualcosa pure voi". 
Ma non mancano le critiche di chi si sente offeso dalle immagini provocatorie, come @Barbaralippi: aprire al dialogo, infatti, è anche capacità di gestirlo e di dare un feedback alle proprie azioni con un segno di responsabilità. Una cosa che Piazza Italia ha fatto e sta facendo. Antipolitica, strumentalizzazione o interpretazione del disagio nazionale? Io la vedo come un modo intelligente di fare comunicazione e mettersi in dialogo con la società, perché anche le aziende sono protagoniste del sistema Italia e devono saper dar voce al dibattito politico-sociale con coraggio. Quando esistono rispetto e responsabilità anche le aziende possono e devono fare la loro parte senza aver paura del confronto con la piazza del "reale" e dei social!

sabato 8 dicembre 2012

#Millennium, mass media e potere


Durante la serata una giornalista del Dagens Nyhter le aveva posto la stessa domanda: "Come farà Millennium adesso a sostenere in maniera credibile la propria indipendenza?"
"A cosa si riferisce?"
Il reporter aveva sollevato le sopracciglia. Pensava che la domanda fosse stata sufficientemente chiara, ma a ogni modo cercò di essere più preciso.
"Il compito di Millennium è, fra l'altro, di fare le pulci alla società. Come farà adesso il giornale a essere credibile quando sosterrà di fare le pulci alle aziende di Vanger?"
Erika l'aveva guardato con il volto atteggiato a un'espressione di sorpresa, come se la domanda fosse giunta del tutto inaspettata. 
"Vorrebbe sostenere che la credibilità di Millennium diminuisce perchè un noto finanziere dotato di risorse è comparso sulla scena?"
"Sì, direi che è abbastanza evidente che non potrete mettere sotto la lente la società del gruppo Vagner in modo credibile".
"E' una regola che vale in specifico per Millennium?"
"Prego?"
"Voglio dire, lei lavora per un giornale che fa capo in larghissima misura a pesanti interessi economici. Significa forse che nessuno dei giornali pubblicati dal gruppo Bonnier è credibile? L'Alftonbladet è di proprietà di una grossa società norvegese che a sua volta costituisce una presenza importante nell'informatica e nelle comunicazioni. Significa forse che ciò che dice l'Aftonbladet sull'industria elettronica non è credibile? Metro è in mano al gruppo Stenbeck. Lei è dunque dell'opinione che nessun giornale svedese che abbia pesanti interessi economici alle spalle è credibile?"
"No, naturalmente no"
"E allora perché insinua che la credibilità di Millennium dovrebbe diminuire perché anche noi siamo finanziati?"
"Okay, ritiro la domanda"


("Uomini che odiano le donne" Stieg Larsson)

Mi sono imbattuta ultimamente in questo libro, quasi per caso. "Uomini che odiano le donne", non è soltanto un romanzo che parla di omicidi e investigazioni, è anche la storia di un giornale e di una redazione e questo mi ha da subito affascinata. Millennium è il nome della rivista di cui si occupano Mikael Blomkvist ed Erika Berger, una rivista che si propone di indagare nella politica economica e di svelare truffe e raggiri della società imprenditoriale svedese. Un giornalismo, impegnato e una redazione pronta a combattere per difendere i propri valori e le proprie scelte. Ed è proprio di questo che tratta parte del libro mettendo a confronto la logica mediatica con la morale: una riflessione assolutamente moderna e attuale.  

Il rapporto fra media e potere, del resto, non può essere ignorato neanche da chi opera nel mondo della comunicazione: i confini fra questi mondi sono spesso molto, forse troppo, labili. Se pensiamo al caso italiano questo binomio è ancora più forte: metà dei media italiani sono di proprietà di grandi gruppi industriali. Ciò significa che l'informazione è nelle mani di pochi. Un' oligarchia che di per sé mette in pericolo democrazia e libertà di stampa. Il confronto sul piano etico è chiaro e questo frammento del romanzo lo mette su nero e bianco: il reporter chiede a Erika Berger come potranno pensare di continuare a fare il loro lavoro in modo neutro con al fianco un gruppo con importanti interessi economici. Erika risponde pan per focaccia!
Il punto è che tutto il sistema mediatico ha alle spalle un potente impero imprenditoriale che lo sostiene: il Corriere della sera, il Tg5, La Stampa, La7... e potremmo continuare. Da qui la domanda: dove inizia e dove finisce la libertà di stampa? cosa è lecito dire e cosa no? Si tratta, a mio modo di vedere, innanzitutto di un questione morale... ma anche di un fattore di sussistenza. L'esistenza di editori puri è un fatto raro e la necessità di risorse porta a un confronto diretto fra media e potere. Questa può essere democrazia?

Mentre ancora queste domande mi lambiccavano il cervello, ho acceso la tv. Mi è capitata sotto gli occhi, dopo una serie di zapping forsennato, l'intervista di De Benedetti a Otto e 1/2. Carlo De Benedetti, uno dei più grandi imprenditori italiani, è capo del Gruppo editoriale L'Espresso, uno dei pochi gruppi che, ad oggi, in Italia, dimostrano di reggere bene la crisi. Lo stesso De Benedetti durante l'intervista si è dimostrato critico nei confronti del sistema editoriale: il futuro sarà difficile ma vedrà sicuramente l'informazione seguire due binari paralleli, il cartaceo e il digitale. Fra le notizie più interessanti, la decisione dell'imprenditore di lasciare le aziende ai figli e diventare editore puro. Una sfida notevole per il gruppo proprietario di "Repubblica" e per l'informazione italiana in generale. Un passo in avanti verso un confronto più democratico e aperto? Difficile dire quale sarà il futuro di "Repubblica", ma sono sicura che a Blomkvist e la Berger, De Bendetti sarebbe piaciuto.


Ps. Non ho letto il nuovo libro di De Benedetti "Cambiare si può", ma se qualcuno avesse recensioni, idee, sarei curiosa di sapere cosa ne pensate.